(di Alfredo Bellucci – Non Prendermi per il Chilometro)
Quando vai a comprare una mela, quale scegli?
Quella lucida, perfetta, senza il minimo difetto,
o quella che porta addosso qualche segno naturale,
imperfetta ma vera, frutto di un ciclo vitale autentico?
La prima è stata trattata, modificata, levigata.
La seconda è reale, ma meno rassicurante.
E se scoprissi che la mela lucida, dietro la bellezza,
ha perso gran parte del gusto?
E se scoprissi che quella apparentemente perfetta
è proprio quella che ti farà male, col tempo,
perché non è più naturale?
Il mercato dell’auto usata funziona esattamente così:
si preferisce l’apparenza alla sostanza.
Ma non per inganno — per paura.
Perché la paura di perdere comanda più della voglia di capire.

Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia, l’ha dimostrato:
l’essere umano soffre il doppio per una perdita
rispetto alla gioia che prova per un guadagno equivalente.
È l’avversione alla perdita.
Un riflesso mentale che governa il mercato più delle leggi e delle regole scritte.
Il venditore teme di perdere la vendita.
Il cliente teme di perdere la sicurezza.
Entrambi sono vittime della stessa malattia.
Una patologia profonda che corrode la fiducia come un acido lento.
Il risultato è un mercato che non cresce, ma si difende.
Raccontare tutto richiede tempo, lucidità e fiducia.
Tre cose che costano.
Ogni parola in più può diventare una vendita in meno.
E il breve periodo ha sempre la meglio,
perché il lungo arriva troppo tardi.
Così la trasparenza diventa una variabile rischiosa:
chi racconta troppo spaventa,
chi racconta poco vende.
La sincerità si trasforma in un costo psicologico,
e pochi se la possono permettere.
Esempio reale:
un commerciante racconta onestamente che un’auto ha avuto un piccolo urto.
Il cliente lo ringrazia, poi compra altrove.
Lo stesso commerciante, mesi dopo, mostra un’altra auto con un controllo documentale certificato,
non perfetta ma chiara, e il cliente firma.
Non per la perfezione, ma per la coerenza.
La differenza non è la verità: è come viene resa verificabile.

Ma anche chi compra non è immune.
Davanti a un racconto onesto ma complesso, si stanca.
Davanti a una verità che prevede imprevisti, si ritrae.
Fra una spiegazione sincera ma tecnica
e una promessa semplificata e rassicurante,
sceglie quasi sempre la seconda.
Il cliente non vuole essere ingannato,
ma non vuole nemmeno sentirsi vulnerabile.
Vuole una certezza — anche se è illusoria.
Così spinge inconsapevolmente il venditore a limare, edulcorare, nascondere.
Entrambi diventano complici della stessa paura:
uno tace per non perdere, l’altro crede per non rischiare.

L’avversione alla perdita non è una colpa:
è un meccanismo di sopravvivenza.
Ma nel tempo, se non lo riconosci, diventa una malattia sistemica.
Rende il mercato fragile, cinico e inefficiente.
Trasforma la fiducia in un bene raro, e la verità in un rischio d’impresa.
Ogni omissione giustificata apre una crepa.
Ogni paura non gestita diventa abitudine.
Così il mercato non si rompe: si svuota.
Lento, costante, dall’interno.
La cura non è la moralità, è la misurazione.
Servono strumenti semplici che rendano la fiducia dimostrabile.
Finché il mercato continuerà a vivere di difese reciproche,
la fiducia resterà un costo e non un capitale.
Ma un’economia che non accetta la possibilità di perdere
finisce per perdere se stessa.
La vera sfida non è vendere di più,
è perdere meno fiducia a ogni vendita.
E questo, in fondo,
è l’unico modo per tornare a vincere davvero.